INFANZIA? SI, FORSE, NO...
“Lasciate giocare i bambini” è l’eloquente titolo di un articolo, apparso domenica 20 aprile 2014, nell’inserto de IL SOLE 24ORE, scritto da Dorella Cianci per illustrare e recensire il libro della sociologa Marina D’Amato, intitolato “Ci siamo persi i bambini. Perché l’infanzia scompare”, edito da Laterza, composto da 188 pagine e dal costo, non proibitivo, di € 12,00.
Per poter affermare che l’infanzia scompare, dovremmo interrogarci sul tempo cronologico dell’infanzia: passaggio verso l’adolescenza? Separazione del mondo infantile dal mondo cosiddetto adulto? Il tentativo di definire la categoria entro determinate coordinate temporali? O altro ancora? Risposte univoche non ce ne sono, ma credo si possa concordare su una definizione: “l’infanzia è un momento discriminante non solo per la vita individuale, ma anche collettiva.” Quanto si percepisce di buono (e anche di cattivo) in quella stagione, produrrà effetti che si ripercuoteranno sulle dinamiche personali adulte, ma anche sulle dinamiche relazionali con forti riverberi in ambito scolastico e, successivamente, professionale, senza dimenticare l’impatto di questi effetti all’interno di quel collettivo chiamato famiglia. Dall’equilibrio sempre in formazione di quella stagione, dipendono gli esiti futuri del ben-stare e del ben relazionarsi con gli Altri.
L’excursus storico delineato e seguito dall’autrice, considera il Novecento la culla delle rinnovate idee sul mondo dell’infanzia attraverso l’educazione. Il pensiero di Rousseau influenzerà le teorie di Dewey, che vede nell’esperienza e nella interazione sociale la nascita e la formazione del pensiero del bambino. Il valore del gioco emerge nella visione di Froebel che lo considera uno strumento educativo fondamentale, con l’obiettivo di far emergere l’interiorità del bambino. Oggigiorno, questa nuova centralità, questo nuovo interesse da parte della comunità verso questi “soggetti di diritti”, questa nuova sensibilità pedagogica e neuro scientifica, anziché confermare e consolidare lo status infantile, si assiste alla scomparsa del bambino, nonostante i buoni propositi egli ottimi presupposti. L’autrice spiega che “l’infantilizzazione dei genitori porta con sé la drammatica scia dell’adultizzazione dei bambini, i quali non si distinguono più dai grandi, vestono come loro, utilizzano il loro linguaggio e smettono di utilizzare il gioco come atto creativo per eccellenza, divenendo sempre più soggetti da competizione.” Il giocare per creare un’identità sociale, principio di ogni cultura, lascia il posto al giocare per competere, principio della disidentificazione.